Ultima in ordine di tempo fra le cattedrali romaniche pugliesi, il monumento racconta le quattro fasi storiche che ha attraversato; decorazioni e particolari scultorei celebrano la vittoria di Cristo – Luce – sulle Tenebre, esaltando l’afflato dell’uomo medievale nell’unione tra spiritualità e arte.
La Cattedrale di Bari affonda le sue radici nell’antica chiesa paleocristiana (V e il VI sec. d.C.) venuta alla luce negli anni Sessanta del secolo scorso grazie a fortunati scavi; il suo aspetto rimase inalterato fino alla metà dell’XI secolo, quando la riconquista bizantina coincise con la riorganizzazione del potere religioso e la costruzione di un nuovo edificio sacro. Secondo la tradizione, negli stessi anni venivano trasferite a Bari le reliquie di San Sabino, vescovo di Canosa: il nuovo tempio venne a lui dedicato e il Santo divenne anche patrono della città.
Il 1156 è un anno funesto per Bari; il normanno Guglielmo il Malo ne ordina la distruzione a seguito di ripetute rivolte popolari: nemmeno la Cattedrale viene risparmiata. Qualche decennio più tardi, ai Baresi fu concesso di rientrare in città e sotto il vescovo Rainaldo si iniziò la ricostruzione dell’edificio sacro: il 4 ottobre 1292 l’attuale Cattedrale venne solennemente consacrata.
Il rosone della facciata visto dalla navata centrale
Particolare della facciata principale
Fulgido esempio di stile romanico pugliese, la facciata principale in pietra calcarea bianca è ornata da archetti e lesene; l’elemento che catalizza l’attenzione è il rosone, costituito da diciotto petali e da una cornice semicircolare ornata da mensole con suggestive figure grottesche di animali. Il 21 giugno – giorno del solstizio d’estate – intorno alle 17, si assiste ad un particolare fenomeno: i raggi solari penetrano dai 18 spicchi del rosone combaciando perfettamente con i petali della rosa che decora il pavimento della navata.
Anche la facciata sud presenta un rosone composto da 21 colonnine terminanti con decori vegetali, teste a grottesche; la facciata ha una copertura a salienti, con una teoria di arcatelle cieche, terminanti con mensole decorate con bestiari.
A rendere l’esterno ancora più imponente è l’alto campanile anch’esso in pietra calcarea bianca; bifore, trifore e quadrifore lo scandiscono, fino ad arrivare alla cuspide piramidale.
Le tre navate interne sono scandite da due file di colonne dall’aspetto slanciato. La preziosissima decorazione marmorea è attribuita ai grandi scultori dell’epoca: Alfano da Termoli, Anseramo da Trani, Peregrino da Salerno. Ricchissima era anche la decorazione parietale ad affresco di cui sopravvivono pregevoli frammenti nelle absidi minori e nella Cripta.
In alto rispetto alle navate, il transetto si eleva con al centro il ciborio del XIII secolo opera di Alfano da Termoli: i tre gradini di accesso decorati con motivi vegetali, disegni animali e un esametro che celebra l’uomo, sono un chiaro richiamo ai tre regni.
Il pulpito che spicca lungo la navata destra è stato ricomposto con frammenti originari dell’XI e XII secolo; di grande bellezza sono i due leoni romanici posti ai lati della scalinata che sale verso il presbiterio.
Al centro dell’abside maggiore, la finestra absidale è il capolavoro di scultura medievale che illumina l’altare: Cristo, la Luce, sconfigge le Tenebre. Le cornici interne sono finemente lavorate, così come la cornice esterna aggettante, richiamando l’analoga finestra della Basilica di San Nicola e della Cattedrale di Trani.
Il ciborio del XIII secolo opera di Alfano da Termoli
Le volte a crociera della Cripta
Sotto il transetto, si accede alla Cripta da una doppia rampa di scale che conserva la veste barocca assunta dalla Cattedrale nel Settecento. Le quattro navate sorrette da tre file di colonne e coperte da volte a crociera, risplendono di un delicato color verde esaltato da particolari in oro zecchino.
Le reliquie di San Sabino sono adorate al di sotto dell’altare maggiore, intarsiato di marmi policromi; davanti, l’altare dell’Odegitria racconta l’arrivo a Bari dell’icona dedicata alla Madonna cui la chiesa era anticamente dedicata e che l’arcivescovo Mimmi traslò qui durante la Seconda Guerra Mondiale affinché proteggesse la città.
L’icona conservata oggi nell’altare maggiore della Cripta della Cattedrale risale al 1500 ed è opera di Francesco Palvisino. Venerata prima a Gerusalemme e poi a Costantinopoli in una basilica lungo la via Odilonica – “la strada retta” – prese il nome di Santa Maria Odegitria, colei che mostra la retta via.
Oggi, la Vergine che con una mano indica la via ai fedeli e con l’altra sorregge il Figlio in piedi sulle sue ginocchia, è la patrona della Diocesi di Bari ed è festeggiata il primo martedì di marzo di ogni anno.
Dalla Cripta si accede al Succorpo, l’ambiente che racconta la storia più antica della Cattedrale.
A 5 metri di profondità sotto la chiesa, un percorso museale fa rivivere i quattro principali momenti storici: la fase romana, la fase paleocristiana, la fase medievale e quella moderna. Le rovine romane databili al I-IV secolo d.C. convivono con gli elementi dell’antica chiesa bizantina, sorta proprio sui resti dell’edificio romano a partire dal V secolo d.C.; mosaici e affreschi raccontano i fasti di un passato tornato alla luce grazie a fortunati interventi di scavo.
Il Mosaico di Timoteo, dal nome del suo committente, è il più grande brano pavimentale della chiesa paleocristiana giunto fino a noi; tessere policrome in materiali diversi (marmo, calcare, laterizio) danno vita ad animali acquatici, motivi vegetali e floreali e forme geometriche complesse.
Nel 1034 il vescovo Bisanzio fa abbattere la basilica paleocristiana per dar vita ad una chiesa più grande, la prima cattedrale medievale conclusa nel 1064; nel 1156 questa, così come l’intera città, venne distrutta: qui all’interno del Succorpo ne restano le tracce.
Il Mosaico di Timoteo
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